Presenze

L’uomo non è più quello con cui si alternano giorno e notte o si misurano prossimità e distanza. Ora si trova come una cosa tra le cose, infinitamente sola. Tutto ciò che avvicina persone e cose si è ritirato in una profondità comune dalla quale si nutrono le radici di tutto ciò che cresce.

Rainer Maria Rilke

Una serie di opere di recente produzione di Micaela Legnaioli sotto il titolo “Presenze” propongono un cammino che la portano ad operare nello spazio che c’è tra l’arte e la vita. L’artista si muove in un ambito in cui la povertà della materia usata si evolve in una raffinata ricchezza dell’espressione emotiva ma chiara nei labirinti della memoria. Un tentativo di descrivere un’immagine viva e reale di persone, i cui profili interpretano  le possibili situazioni interiori degli individui stessi. Nell’intenzione dell’artista le lastre di metallo ossidate con acidi e sale e scolpite vogliono dare l’idea del possibile stato spirituale depositato in ciascuno di noi a causa delle vicende della vita quotidiana, ed in particolare delle ultime vicende che la gente ha dovuto subire a causa della recente pandemia.

 L’individuo consolida le acquisizioni principali che ognuno di noi sperimenta nella vita, ogni opera è un simbolo racchiuso nel profilo che è l’immagine che di noi stessi conosciamo meno, eppure che ci rappresenta in maniera inequivocabile. Dice l’artista < Un volto di profilo è un segno forte, essenziale, riconoscibile ed è l’unico che si può disegnare con un unico tratto continuo.  Queste opere dicono che, ad onta della enormi differenze che ci separano l’uno dall’ altro, c’è una radice comune in queste vite. E la radice comune è l’arte stessa che riporta ordine, armonia, equilibrio in ciò che può sembrare il massimo del disordine e del caos ossia la vita al di fuori dell’essere. >.

Lo stile incisorio indefinito delle lastre esalta la funzione di presenza, di umanità, anche se non definita. Ma anche non più suscettibile di cambiamento registrando chi siamo in un istante determinato del “tempo”.

La tecnica usata dall’artista, detta circumductio umbrae, lega indissolubilmente l’opera all’idea di riproduzione del reale ed il ritratto si pone come funzione di ricreare la presenza fisica umana.  Questi profili si ricollegano direttamente ad uno dei miti più antichi sulla nascita della pittura, in cui Plinio il Vecchio rintraccia le origini dell’arte in quel lontano giorno in cui la figlia di un vasaio di Corinto, per serbare nella memoria la figura del suo amato ne avrebbe ricalcato sul muro la sagoma dell’ombra proiettata dalla luce. Lo spazio circostante, invece, rappresenta la spiritualità della persona che interagisce con il resto del mondo. Nell’osservare questi lavori nel loro insieme, prende forma un senso di umanità e di un sentimento intenso e sofferto in cui il silenzio rimandato dalle “Presenze” ci richiama alla nostra memoria e ai nostri pensieri.

Massimo Scaringella

Identità Nascoste

Riapre la galleria spazio arte su dopo la pausa estiva con la personale di Micaela Legnaioli. In mostra lastre di zinco di grandi dimensioni nelle quali l’artista rappresenta il DNA ovvero l’essenza di alcuni personaggi della storia nonché una serie di sculture ispirate alle ‘gabbie dorate’ che giorno dopo giorno vincolano le nostre relazioni creando delle difese dentro le quali l’individuo trova protezione. Tratto comune del lavoro della poliedrica artista la ricerca dell’identità nascosta in ognuno di noi: in definitiva, come sottolineato da Claudio Strinati, ”la sequenza delle opere realizzate da Micaela è, in conclusione, la strada della formazione e della maturazione di ciascuno di noi, nelle sue ansie, preoccupazioni, speranze, ambizioni, gioie e desideri”.

Gabbie Dorate

Le “Gabbie Dorate” ossia i lacci e i vincoli mentali che ci bloccano e ci limitano nelle relazioni con gli altri per il timore di essere feriti. Le differenti paure creano delle difese oggetto dell’interpretazione, in questa nuovo ciclo di opere, dall’artista  Micaela Legnaioli. Come in un viaggio sempre più in profondità, all’interno del sé, l’artista Legnaioli dotata di una grande sensibilità e di un livello artistico molto alto, analizza le nostre paure e le gabbie di difesa, nel loro aspetto visuale con esiti raffinatissimi.

Le Gabbie Dorate non sono altro che effimere difese che danno una parvenza di protezione, ma che ben presto si trasformano in gabbie costrittive che soffocano l’individuo, ne restringono la libertà espressiva e poter amare ed essere amati; esistono delle vie di uscita che possono essere intraprese per liberarsi di questi vincoli. L’artista propone una lettura visiva-soggettiva dopo una approfondita riflessione psicologica su questi temi.

Le sue sculture hanno una duplice lettura: ad una prima lettura si apprezza la gabbia-involucro che imprigiona e che è dipinta con differenti e preziosi colori metallici; in una successiva lettura ad essere oggetto di attenzione è l’involucro interno che è bianco e lucido ad indicarne così la sua indubbia “purezza”. Al centro di questo involucro, come un prezioso gioiello, c’è  un oggetto più grezzo e sempre differente in ogni scultura: è il nostro Io che è il più vero e intimo. Esistono delle vie di uscita  per le nostre paure, quelle che sono le nostre gabbie possono essere aperte solo da chi sentiamo affine e ci mostra empatia, amore ed affetto. Le sculture della Legnaioli sono create usando il gesso, il colore acrilico, la resina e la vernice per le dorature.

In questa serie c’è un collegamento visivo con la serie delle opere incise e su metallo che riporta le tracce delle esperienze che si sono presentate nella vita di donne e uomini che hanno lasciato un segno nel mondo sui metalli, e si può pensare una sorta di continuazione nella poetica di “Foglie nel vento” ossia della consapevolezza del dato casuale e involontario nello stare fisicamente in un posto piuttosto che in un altro e nell’avere accanto persone/foglie piuttosto che altre, è uno sguardo al destino e al caso per indagare il percorso esistenziale di ognuno.

Installazione “Foglie nel Vento”

L’installazione ‘foglie nel vento’ è composta da un muro bianco e da quarantacinque foglie, tutte di forma e dimensioni differenti, così come diversa è la loro provenienza. Le foglie, poste l’una accanto all’altra, sono realizzate in gesso e resina e tutte di colore bianco per sottolinearne l’omogeneità nella loro diversità. La vicinanza delle foglie è casuale e provvisoria. Quando arriverà il vento spargerà le foglie ognuna in un’altra collocazione.

La foglia simboleggia l’ineluttabilità del cambiamento e del rinnovamento. Le foglie hanno poteri curativi e protettivi. Le foglie, di questa installazione, siamo noi esseri umani, tutti diversi, vicini ma in balìa del vento della vita che ci porta in posti a noi sconosciuti.

Il muro bianco è il luogo dove idealmente viviamo e rappresenta il nostro destino invisibile: assume spessore e materia attraverso le foglie che sembrano emergere. Il muro, dove temporaneamente siamo appesi, sottintende per le foglie il dato casuale del trovarsi in un punto piuttosto che in un altro.  Ad essere raffigurato è un luogo mentale per descrivere l’incertezza del destino degli esseri umani. “Il bianco ci colpisce come un grande silenzio che ci sembra assoluto” scriveva Kandinskij. Il bianco come astrazione e sottrazione. Bianco è il muro e bianche sono le foglie, diverse nella forma, come una storia di destini e silenzi differenti. La certezza di trovarsi a lungo in un posto custodito o in una situazione confortevole non esiste. Noi tutti, nel tempo che ci è dato vivere, come le foglie, viaggiamo nel mondo indipendentemente dalla nostra volontà. Cerchiamo di controllare e scegliere il nostro viaggio ma, forze più grandi di noi, stabiliscono il nostro percorso.

L’artista Micaela Legnaioli vuole far riflettere sul fatto involontario e l’accidentalità del trovarsi in un determinato luogo a causa dell’imprevedibilità della vita che, come il vento con le foglie, scompagina, sposta e rimescola decidendo il destino di ognuno.

Micaela classe 1970 è nata a New Delhi in India ed ha vissuto in numerosi Paesi europei e sudamericani per poi stabilirsi, nell’ultimo decennio, a Roma. L’installazione “Foglie nel Vento” assume il senso di una riflessione sul suo percorso esistenziale che l’ha vista vivere in differenti città del mondo. L’artista nel corso degli anni, si è applicata nelle differenti tecniche pittura, scultura e ceramica. La sua ricerca artistica si è sempre concentrata sull’identità dei singoli e nella coppia e sulle tracce che ogni essere umano lascia più o meno volontariamente. La sua è una ricerca intellettuale e materica che dall’impronta fisica digitale delle Tracce, passando per la raffigurazione simbolica dei ritratti dei personaggi più noti della storia dell’Occidente incisi su lastre di zinco e rame, contempla ora con l’installazione site-specific “Foglie nel Vento” la consapevolezza del dato casuale e involontario che può segnare la vita di ognuno. Nello stare fisicamente in un posto piuttosto che in un altro e nell’avere accanto persone/foglie piuttosto che altre. Micaela che ha modellato, inciso e penetrato l’essenza dei suoi personaggi per raffigurarne il valore dell’unicità, volge ora il suo sguardo al destino e al caso per indagare il percorso esistenziale di ognuno. Dall’individuo punta il suo sguardo all’insieme di un gruppo di esseri umani per indagare il percorso esistenziale di ognuno. Sembra volerci dire: siamo differenti, siamo unici, non sempre possiamo scegliere dove essere e chi avere accanto ma non siamo soli. Raggiunge il nocciolo del senso della vita e ha il valore di un abbraccio consolatorio all’umanità.    

Sabrina Consolini

Fiori svelati

Il fiore per definizione è l’organo riproduttivo della pianta, dunque sinonimo di vita.

Ci sono però “fiori negati” perché nascosti, ma infine “svelati”. Rinascono “nuovamente”, manifestando quell’insito istinto di sopravvivenza.

E’ il caso delle opere di Micaela  Legnaioli presentate alla sua prima personale.

Fiori che manifestano quella grande volontà di esistere, di vita, di rinascita dopo la morte: ritrovati, recuperati e trasformati, si nascondevano insieme ai ricordi, le emozioni, la coscienza. E come delle piccole spugne, hanno assorbito e purificato dall’interno per venir fuori  con una nuova identità. Desacralizzati dalla loro dimensione interiore, si svelano all’esterno sotto nuova forma, non privi del loro fascino intrinseco, ma non privando più l’occhio inconscio del suo libero arbitrio.

Ciò che è svelato, è capito, assimilato, elaborato e tirato finalmente fuori dal quel buio che a volte è così falsamente rassicurante da non riuscire a trovare lo slancio per uscirne.

Questo il lavoro dell’artista: recuperare ciò che inizialmente è stato negato perché celato o semplicemente omesso. Il risultato è quello di una giovialità soffocata, ma che finalmente trova modo di respirare attraverso il recupero cosciente della memoria. Il recupero emotivo è traslato nelle opere floreali di Micaela Legnaioli in totale coerenza con il suo processo creativo, nel quale non soltanto si recuperano i ricordi, complici e sinergici alla realizzazione delle opere, ma anche il materiale con cui esse sono realizzate.

La resina, lo stucco,  il metallo, i differenti tessuti, la carta, la plastica sono coscientemente assimilati ed in seguito organizzati in maniera estetica, dando vita alle opere che ne esprimono un nuovo significato. Si può dare (nuova) vita a ciò che apparentemente sembra non averne più. Ed ecco svelarsi i fiori dell’artista intesi come una sorta di “fleurs du mal”, finalmente sbocciati, visibili, dunque non più pericolosi perché latenti…non più nemici.

Nell’opera “Ennemi”, è percettibile l’elemento grafico dei versi dell’omonima poesia di Baudelaire che dà il titolo all’opera tratta dalla sua raccolta lirica “les fleurs du mal”, il cui testo, non solo è in perfetta sintonia con il “lato oscuro” dell’artista, ma gioca ed ironizza con l’opera stessa realizzata con pacchetti vuoti di sigarette. Gli involucri del male  sono recuperati, accartocciati e disposti in maniera da formare dei fiori che visti nell’insieme dell’opera, esprimono quel senso di enfatizzazione ed ironia tale da esorcizzare e sconfiggere il “maligno significato” dell’opera, attraverso l’opera stessa.

L’elemento grafico ricorre spesso nelle opere di Micaela: frasi di canzoni e poesie prese in prestito per un instante, per sempre o semplicemente per il tempo necessario alla creazione dell’opera. Come nel caso di “No love”, dove la delicatezza dei fiori di loto viene rappresentata in tutta la sua fragilità, come in un amore negato appunto, e ulteriormente sottolineata da frasi latenti, perché appena percettibili. Ciò che ne scaturisce e una sorta di dipendenza dalla vita, forte, fragile, violenta e dolce come la vita stessa.

In altre opere vi è invece una forte consapevolezza espressa con colore è con ironia, come ad esempio in “Prato”, dove l’assemblaggio di accendini usati simula l’erba e i fiori di un mondo inquinato, ma che ha voglia e “necessità” di vivere.

In tutte le opere coesistono sensazioni primordiali, selvagge ma espresse con delicatezza.

Isabella Vitale

Il gioco dei sentimenti

Se Micaela Legnaioli ci aveva sorpresi con un mix di colori nella sua prima mostra nel maggio 2013, torna oggi alla predominanza del bianco e del nero… Come se i suoi occhi cercassero nel manicheismo dei neutri una risposta chiara nel « gioco dei sentimenti ».

Ciò che ci rende deliziosamente e terribilmente umani non è infatti questo stato emotivo che varia a secondo del nostro vissuto? Trovare l’equilibrio nei sentimenti opposti, non sarebbe questo il cuore del suo lavoro?

L’artista scava nell’intimo, nel più profondo dell’essere e riafferma la forza del sentimento nel cuore dell’Uomo.

Sentimenti, positivi o negativi, niente viene imposto dall’artista, tutto è solo suggerito… La scelta del titolo di queste opere da una sola lettera lascia che lo spettatore interroghi se stesso : « A » come « Appassionato », « Ansia », « Abbandono », « Allegria » …

Pudore spontaneo e spericolato del sentimento sottilmente velato nell’opera « R » o « B », oppure strappi decisi attraverso frammenti di plexiglass che lacerano l’opera « I », o infine fili di ferro arrugginiti inchiodati nell’opera intitolata « P ».

Bordi taglienti di plexiglass, parole incatenate, forme curve e lucide sono i paesaggi interiori che l’artista interpreta, nel grande desiderio di sentire, di esistere e di fare coesistere i propri sentimenti.

Micaela Legnaioli rimane coerente con il processo creativo in cui eccelle, sempre fedele ai materiali di recupero di cui trae nobiltà, durezza o semplicemente utilità. Resina, stucco, metallo, tessuti vari, plastica, tavole di legno donano vita ad opere che poi esprimono un nuovo significato. L’elemento grafico rimane presente in diverse lingue, come se volesse sfidare il visitatore del Mondo. E si tratta proprio di linguaggio universale quello dei sentimenti.

Lei riesce proprio a fare sorgere questa dipendenza alla vita, con la consapevolezza di dovere fare coesistere tutti i sentimenti umani.

Sabine Oberti

Undici Vite

Micaela Legnaioli in questa sequenza di opere non descrive la vita delle undici celebri donne protagoniste dell’esposizione e neppure vuole indicarne, attraverso le immagini da lei stessa elaborate, una qualità specifica, magari proprio quella che le ha rese famose, amate, rispettate, sovente addirittura idolatrate nelle rispettive carriere.

Ciò che unisce i personaggi oggetto della mostra è semplicemente la lettera M con cui cominciano i loro nomi.

Eppure, malgrado questa idea un po’ dadaista di porre le fondamenta di un lavoro artistico come questo, l’assunto dell’esposizione è molto serio e ponderato, anche se esplicitato con aerea leggerezza e arguzia.

Nella intenzione dell’artista le lastre di zinco scolpite e ossidate con acidi che costituiscono l’insieme delle opere della mostra, vogliono dare l’idea della stratificazione spirituale, culturale e morale depositata in ciascuno di noi a causa delle vicende della vita e delle esperienze. Tale stratificazione, molto ben percepibile all’ osservazione diretta delle opere, assume nelle undici figure, un aspetto emblematico, come una sorta di DNA all’ incontrario. Nel senso che il DNA è una struttura dettagliatamente ricostruibile, anche tramite immagini, che nasce insieme con noi e determina tutto il nostro essere come un’impronta da cui è impossibile liberarci e che contiene in sé l’anima e il corpo del vivente.

Le stratificazioni della Legnaioli, invece, sono il risultato di tale impronta originaria, cioè sono la sintesi, in immagine ovviamente, di tutto ciò che arriva dopo all’ individuo e che ne determina il destino e tante sue caratteristiche peculiari, ma soprattutto consolida le acquisizioni principali che ognuno di noi sperimenta nella vita.

Quasi che l’autrice avesse preso lo spunto da un dato naturale. E, del resto, lei stessa ha spiegato quale sia per lei questo dato naturale. E’ lo stratificarsi delle rocce che assume le forme di disegni irregolari ma comunque guidati da una ferrea e incontrovertibile logica di sviluppo. E quel dato naturale diventa, nell’ immagine della Legnaioli, pura astrazione di onde di energia che modellano lo spazio in maniera congruente a quella che caratterizzò le vite delle grandi donne prescelte.

Ognuna è un simbolo. Simbolo dell’arte, della scienza, della politica.

In ogni caso le opere della mostra fanno serie, e serie molto serrata. Come a dire che, ad onta della enormi differenze che separano l’un personaggio dall’ altro, c’è una radice comune per quelle vite esemplari e quella radice è l’arte stessa che riporta ordine, armonia, equilibrio in ciò che può sembrare il massimo del disordine e del caos della vita stessa in tutte le sue articolazioni.

Ed ecco, allora, che queste lastre costituiscono una specie di enciclopedia del sapere laico e ciascuno di noi può e deve misurarsi con le immagini, quanto mai astratte e misteriose almeno ad una prima osservazione, che ci parlano invece di personalità celeberrime, quasi a mettere allo scoperto questo strano DNA di ritorno che è rappresentato, appunto, nelle fervide e pulsanti immagini elaborate da Micaela.

Claudio Strinati

 

 

L’undici aprile, la Galleria Fidia inaugura la mostra Undici Vite di Micaela Legnaioli; undici opere materiche che ripercorrono le vite di undici donne eccellenti. La galleria conferma il suo tracciato di ricerca artistica contemporanea abbinandolo alla sua vocazione storica di presentazione di artisti affermati.

L’esposizione presenta la nuova serie su metallo dell’artista, in cui lastre di zinco scolpite e ossidate con l’uso degli acidi sono dedicate alle esperienze vissute da undici donne, accomunate non solo dal ruolo di nodale importanza rivestito nella storia dell’Occidente, ma anche dall’iniziale del loro nome, la lettera M.

Le opere, la cui bidimensionalità costituisce una deviazione rispetto al percorso dell’artista improntato su realizzazioni di valore scultoreo, ricordano il fenomeno della formazione delle rocce. Il disegno irregolare generato dalla sedimentazione di strati rocciosi, il risultato delle mutazioni della materia determinate da eventi naturali, sono traslati sul metallo sotto forma di solchi incisi: tracce visibili delle vicende positive e negative, pubbliche e private, vissute dalle undici protagoniste.

Nel testo di presentazione alla mostra, Claudio Strinati scrive: “Tale stratificazione, molto ben percepibile all’ osservazione diretta delle opere, assume nelle undici figure, un aspetto emblematico, come una sorta di DNA al contrario. […] E quel dato naturale diventa, nell’ immagine della Legnaioli, pura astrazione di onde di energia che modellano lo spazio in maniera congruente a quella che caratterizzò le vite delle grandi donne prescelte. […]”.

I segni tracciati seguono fedelmente l’esistenza di queste donne, e il loro spessore varia a seconda dell’impatto che eventi ed esperienze hanno avuto nei singoli percorsi di vita. L’artista propone così delle vere e proprie mappe di parabole individuali, determinate dalla volontà, dal caso e dall’ambiente. L’impatto visivo ed il significato delle opere, pur nella loro indiscutibile forza espressiva, non si svelano all’osservatore se non dopo un’indagine approfondita, ed attraverso una lettura più consapevole si giunge, dunque, alla chiara decifrazione di un’astrazione altrimenti impenetrabile.

Il fascino di queste opere è esaltato dalla lucentezza del supporto metallico e dalla variazione cromatica,  in intimo dialogo con il vissuto dei singoli personaggi.  Micaela Legnaioli propone una inedita riscrittura visiva della biografia di icone femminili appartenenti a contesti storici ed epoche diverse. Le undici donne prescelte hanno lottato per emergere e per dare un contributo alla storia, seppur con esiti controversi: amate, odiate o dimenticate hanno tutte  lasciato un segno indelebile del loro passaggio.

Tour Virtuale

 

Vite Parallele

Roma, ottobre 2018. Dopo il progetto “Undici Vite”, in cui ha rappresentato le biografie di undici grandi donne, l’artista Micaela Legnaioli prosegue la sua ricerca con “Vite Parallele” presso Open ART-Sala da Feltre a Roma. Le dieci opere su metallo, in esposizione dall’11 ottobre al 31 dicembre, riprendono l’idea delle vite eccellenti, e rappresentano cinque personaggi femminili insieme ai propri compagni: Messalina e Claudio, Matilde e Goffredo il Gobbo, Maria Antonietta e Luigi XVI, Marie e Pierre Curie, Mary e Percy Shelley.

Le protagoniste scelte dall’artista sono accomunate dalla stessa iniziale del nome di battesimo, la “M”. L’idea è nata con “Undici Vite”, mostra argomentata dal Prof. Claudio Strinati che così ha individuato l’ispirazione del progetto: “malgrado questa idea un po’ dadaista di porre le fondamenta di un lavoro artistico come questo, l’assunto dell’esposizione è molto serio e ponderato… le lastre scolpite e ossidate con acidi che costituiscono l’insieme delle opere della mostra, vogliono dare l’idea della stratificazione spirituale, culturale e morale depositata in ciascuno di noi a causa delle vicende della vita e delle esperienze”. Dunque una sorta di DNA al contrario, che non nasce insieme a noi ma è sintesi di quello che succede all’individuo e che ne determina il destino. Le opere, quasi bidimensionali, sembrano voler ricollegarsi, in quei disegni irregolari e nelle loro differenti stratificazioni un po’ tipiche delle rocce, al significato della sovrapposizione delle esperienze e ai segni inconfondibili che, nella vita di ciascuno, nei solchi e nei toni, per sempre ci segnano rendendoci unici. “Il mio lavoro sull’individuo e su ciò che lo rende unico, con il carico emotivo ed esperienziale, qui prosegue come un vero e proprio racconto delle vite passate” – ha dichiarato Legnaioli. La ricerca va al di là del ritratto già sperimentato nella serie “impronte” e si applica ad indagini intime e più approfondite sull’essere umano. È una seduzione dell’anima, la sua, che va oltre il primo sguardo.

Rispetto al momento realizzativo, la novità rispetto a “Undici Vite” è la sperimentazione dell’ossidazione sul rame: le donne sono realizzate su lastre di zinco ma gli uomini, ed è la prima volta per Micaela Legnaioli, su rame scolpito e ossidato. Si tratta di opere materiche che, nelle concrezioni e nei differenti colori, vogliono rappresentare il carattere e le esperienze di vita dei personaggi rappresentati. La dimensione delle opere sembra corrispondere agli anni di vita di queste donne del passato, gli uomini invece sono su lastre della stessa dimensione, lo spessore delle tracce, veri e propri solchi colorati dalla reazione ossidativa, segue l’impatto delle varie esperienze nella loro vita. Il risultato porta a mappe dei singoli personaggi sempre differenti l’una dall’altra. Il significato di ogni opera è decifrabile, ma si svela solo dopo un’osservazione più attenta ed accurata.

Impronte

È un’idea bella e suggestiva quella di Micaela Legnaioli che ripropone l’antichissima formula del Ritratto spiazzando completamente lo spettatore.

L’artista infatti, dichiara di voler effettivamente produrre una serie di opere che abbiano, per l’appunto, il significato di un Ritratto di determinati individui; e del Ritratto queste immagini da lei proposte, debbono avere tutte le caratteristiche più tipiche: la precisa riconoscibilità dell’ individuo, l’individuazione della sua specifica identità, la messa in evidenza di quanto c’è di unico e incomparabile, in un certo senso, nella sua personalità.

Qui scatta il paradosso accentuato dall’autrice, che spiega con rigore logico e consequenziale le sue procedure, chiarendo i criteri con cui ha lavorato e sta lavorando. Ma il paradosso è che l’aspetto che l’artista evidenzia nella sua tipologia di Ritratto del personaggio non è la fisionomia ma bensì l’impronta digitale, anzi una sola parte di essa. E non c’è dubbio sul fatto acclarato dalla Scienza, che le impronte digitali sono tutte diverse anche se strutturate su direzioni simili. Approfondendo possiamo sapere che esistono delle grandi categorie dentro le quali è possibile circoscrivere le tipologie principali delle impronte digitali ma tali categorie sono molto complesse e difficili da definire. Ma qui scatta un secondo aspetto della creatività di Micaela Legnaioli: l’intuizione.

È vero cioè, che le opere da lei prodotte sulla base di quel presupposto, sarebbero forse incomprensibili se l’autrice non ci facesse sapere chiaramente quali siano quei presupposti, ma è altrettanto vero che, una volta capita la strategia creativa dell’ artista stessa, lo spettatore può incamminarsi su quel percorso con diletto e curiosità, misti di cognizione scientifica e di immediatezza della percezione.

E proprio di percorsi si tratta, perché visivamente questa trascrizione di impronte digitali in una immagine tridimensionale fa pensare a un tragitto labirintico, come osservato dall’alto, essendo le immagini in rilievo,  con una percezione simile a quella che si può provare percorrendo il Cretto di Burri a Gibellina, che non assomiglia certo a questi percorsi ma è organizzato in modo analogo. La Legnaioli produce forme, infatti, tutte simili e tutte diverse e l’immagine labirintica si imprime con evidenza nella mente di chi osserva, condizionandola.

E con che cosa viene condizionata, come una specie di coazione a ripetere dell’immagine medesima? Con la sensazione da parte di chi vede di trovarsi di fronte a infinite possibilità combinatorie, così come avviene con i numeri. Quel che si nota è che l’ossatura, potremmo definirla così, delle varie immagini, è un misto di microscopico e gigantesco, come se ci trovassimo di fronte a dei resti fossili di un mondo remoto e pietrificato. Invece è solo la dilatazione della forma vivente per antonomasia, l’impronta, che può essere vista bene solo con un enorme ingrandimento.

Dunque una specie di operazione al microscopio in cui l’idea del Ritratto di avvicina a quella dell’astrazione e la scoperta di un’essenza comune permette di comprendere intuitivamente come le differenze da un individuo a un altro siano in realtà minime e determinanti insieme.

Allora è come se l’artista ci volesse far vedere la rappresentazione del concetto del calcolo delle probabilità, che, com’è ben noto, è immane e ricorrente.

Così possiamo provare, diventando dei lillipuziani del pensiero, a entrare in quegli spazi microscopici, al semplice ma basilare scopo di conoscerci meglio.

                                                                                                                                  Claudio Strinati


Ci colpiscono nel nostro Io, le opere realizzate da Micaela Legnaioli, giovane artista internazionale.  Una ricerca sul lavoro, forte e intenso, che focalizza il suo interesse su una continua indagine interiore e un modello, “l’uomo e la sua identità”, da lei già osservato in opere precedenti con evidenti evoluzioni.

La mostra Impronte nasce da uno studio dell’artista sul genere umano, iniziato tempo fa, tra arte, scienza, psicologia e sociologia con valore fortemente simbolico, l’immagine di noi esseri unici nella diversità, ma evoluto poi con una naturalezza astratta nella materia.

Il lavoro di Micaela Legnaioli sicuramente fa e farà parlare, perché non si può restare indifferenti: un impronta digitale personalizzata, riprodotta con tecnica mista e studiata in modo naturale, ci porta, realizzata, +di fronte sì ad una scultura, ma anche ad immaginare persone in carne ed ossa con sentimenti veri e con personalità, seppur raccolti in modo simbolico e astratto.

Attraverso uno sguardo attento, infatti, possiamo scoprire nella sette opere in mostra e di formato diverso, in quanto dimensionate sulla grandezza della persona, sculture a muro dalla sagoma tridimensionale e di grande personalità, create con uno studio particolare legato all’uso della materia e consapevolmente elaborate. Opere dai margini indefiniti, intagliate alla materia creando dei solchi, come nella vita, realizzati ed evidenziati, da cui si plasmano ombre con delicatezza. Se ne trae una luce speciale, tramite il colore acrilico insieme alla resina, che la fa da padrone creando volume.

Nella sua ricerca artistica ed espressiva, fatta da lievi scarti di materia gesso su legno, l’artista intende farci percepire una linea di confine tra l’Io e l’Essere- tra l’Artista e l’Essere Umano- tra Noi e l’Individualismo.

Queste opere abbattono disuguaglianze interculturali, razziali e religiose. Ci fanno riaffiorare un’anima senza tempo, l’individualità della persona immutabile e che rappresenta il proprio vissuto: per l’artista è come parlare di noi, in una sua ricerca della verità. Un approccio astratto che non manca di descrivere i sentimenti più reconditi della psiche umana.

La mostra che si svolgerà all’interno dello spazio Menexa di Massimiliano Padovan Di Benedetto, è un progetto che si presenta per la prima volta al pubblico romano, in cui l’artista vuole creare una sinergia culturale tra varie realtà, per promuovere la cultura a tutti i livelli. La tematica delle Impronte e del ritrovare la nostra identità è più che mai attuale oggi giorno. Quale migliore occasione, tramite questa mostra, per far conoscere l’artista e la sua tecnica artistica contemporanea?

Sveva Manfredi Zavaglia

Catalogo

 

Curve e Variazioni

Viviamo in un  tempo in cui le tante forme dell’arte e della cultura fioriscono  in molti luoghi pubblici e privati e consentono ad un pubblico differente di nutrirsi di spazi di scambio e di scoperta, di luoghi di condivisione  ma soprattutto di apertura dove la curiosità e la sensibilità accompagnano un percorso di scelta.

Questo è idealmente  lo  spirito con cui Ernesto Quagliariello, direttore del Teatro Centrale, luogo caro alla tradizione artistica romana,  si propone di animare  questo spazio e l’incontro con l’Artotheque de Rome è stato determinante per lanciare l’idea di un luogo di cultura dove,  bevendo un calice di vino nell’attesa dello spettacolo, ci si può accompagnare nella scoperta di un’esposizione di arte contemporanea.

La collaborazione tra Teatro Centrale e l’Artotheque de Rome prende l’avvio il 9 dicembre 2014 con l’esposizione “Curve e Variazioni” dell’artista plastica Micaela Legnaioli e dello scultore Boris Lafargue. Ambedue operano sulle forme con dei materiali differenti da cui nascono variazioni originali e interessanti.

Micaela Legnaioli, che ha già esposto due volte a Roma, fa coesistere in questa esposizione l’arte del recupero con quella del modellare. L’artista crea o ricrea le forme come nell’opera “C”, modellata con gesso e resina della serie “ Giochi dei sentimenti”  o nell’opera “Soffocare” per cui l’idea di ridare vita a ciò che non l’ha più, o che era nascosto o soltanto dimenticato da tutto il senso della ricerca dell’artista per scavare nell’intimo. Micaela Legnaioli rimane coerente con il processo creativo in cui eccelle, sempre fedele ai materiali di recupero di cui trae nobiltà, durezza o semplicemente utilità. Resina, stucco, metallo, tessuti vari, plastica, donano vita ad opere che poi esprimono un nuovo significato

Boris Lafargue espone per la prima volta a Roma e presenta una serie di disegni che rappresentano il lavoro preparatorio che gli consente  la comprensione dei volumi prima della realizzazione della scultura. Questa eccezionale serie ci accompagna nella ricerca dell’artista sulla forma geometrica dei quadrati, composta da una infinità di triangoli e rettangoli isosceli. Da questi disegni sono state eseguite tre sculture «  Heraphrodite », «The Falcon Territory » e «Black Hole.

Lo spazio comune offerto a questi due artisti rappresenta un ponte che permette di confrontare l’approccio alle infinite possibilità delle forme, al di là di quale sia il materiale prescelto.

Tante variazioni che lasciano il nostro immaginario correre……